lunedì 6 maggio 2013

Torrent, Streaming e il diritto di recesso




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Tra le cose fatte nel week end, annovero la visione di TPB - AFK, documentario visionato rigorosamente in streaming il cui acronimo sta per The Pirate Bay - Away From Keyboard.

Il film parla delle vicissitudini dei tre fondatori di uno dei più grandi portali di ricerca per la condivisione di files sul protocollo P2P e magnet-link.
In particolare il film, che in quanto documentario cerca di avere un taglio "positivista", lascia trapelare una forte simpatia nei confronti dei tre fondatori (broket, TiAMO, anakata) e una grande antipatia nei confronti del sistema di giustizia svedese che di fatto è al servizio del giustizialismo delle lobby americane.

Away From Keyboard è il termine scelto per la risposta ad una domanda del pubblico ministero sulle relazioni "nel mondo reale". Il PM chiede ai ragazzi fondatori del portale se hanno mai incontrato tale persona nel mondo reale e broket risponde "l'abbiamo incontrato away from keyboard perché per noi internet è reale".

A parte le varie riflessioni sul film che risulta comunque godibile e consigliato, volevo fare alcune considerazioni sulla moderna fruizione delle opere d'arte.

Preambolo del secchione: ai tempi dell'università studiai un saggio di Walter Benjamin intitolato L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Il saggio, celebre tra gli addetti, si proponeva di analizzare gli impatti del pubblico nei confronti dell'arte e degli artisti in un'epoca che permetteva la frammentazione del prodotto unico.

Parafrasando, ad oggi e da qualche anno si potrebbe parlare dell'opera d'arte nell'epoca della sua fruibilità gratuita.

Streaming, torrent, P2P eccetera sono tutti strumenti che la tecnica moderna mette a disposizione per accedere ad opere d'arte più o meno mainstream (il termine pop è ormai totalmente privo di senso che andrebbe abolito).

Parlo della possibilità di accedere a media di qualsiasi tipo: musica, libri, videogames, comics, film, software attraverso una moltitudine di portali e strumenti di condivisione senza pagare nulla se non un abbonamento flat.
A tal proposito, basterebbe mettere un limite per bloccare il fenomeno. Ma il discorso sarebbe simile al limitatore di velocità sulle automobili.

Lo scontro che si genera è complesso, perché da una parte ci sono i produttori e i creatori che correttamente vogliono vedersi riconoscere un compenso per la loro opera ed il loro lavoro.
Quindi si cerca di personalizzare l'opera in modo da renderne l'acquisto preferibile (contenuti speciali, cofanetto personalizzato, accesso a contenuti esclusivi, ecc). Oltre ad altri espedienti sui quali tornerò più avanti.
Dall'altra parte invece si assiste al fenomeno del fruitore di contenuti.
Che è una tipologia piuttosto complessa e che si potrebbe frammentare in categorie differenti:

downloader compulsivo - scarica tutto quello che può, fruendo una minima percentuale di quello che scarica. Avete mai visto la trasmissione Sepolti in Casa? ecco, costui è l'equivalente in termini di software. Accumula terabyte di roba che probabilmente non godrà mai.
downloader selettivo - tende a selezionare solo una tipologia di prodotto (film, videogiochi, programmi) alla quale di solito accede dopo una attenta ricerca su siti specializzati e di solito fruisce di tutto il materiale che scarica. I prodotti migliori hanno l'onore di passare dall'hard disk alla parete, il resto viene probabilmente cestinato. 
downloader speculativo - il vero criminale, cioè colui che scarica allo scopo di rivendere il materiale scaricato illegalmente. Due righe è il massimo che posso dedicare a questa bieca tipologia.
downloader valutativo - è la categoria pubblicamnte più diffusa anche se, a conti fatti,  è probabilmente è quella meno diffusa. Si tratta infatti del downloader che scarica allo scopo di valutare il prodotto e, nel caso sia meritevole, lo compra allo scopo di sostenere l'industria e l'artista. Questa categoria merita qualche considerazione in più per un motivo molto semplice: per i prodotti artistici non esiste il diritto di recesso.

Ecco, vado al cinema, vedo un film e mi fa schifo. Se esco prima della fine del termine della proiezine nessuno mi rimborserà i soldi del biglietto. Se compro un libro e risulta essere una presa per i fondelli, nessuno mi rimborserà i soldi.Stesso dicasi per un cd. Eppure se acquisto una lavatrice o una console e non funziona, posso restituirla e richiedere un buono per comprare altri prodotti.
Allora perché non fare lo stesso per servizi mal funzionanti?
Perché la bontà di un prodotto simile è al 70% soggettiva probabilmente (altro discorso per i software non ludici, in parte) e quindi non è dimostrabile l'insoddisfazione. In pratica sarebbe pieno di furbi che scaricano, godono ma non pagano.

L'industria dell'intrattenimento spesso si concentra e si ingegna su metodi più o meno leciti per dissuadere dall'utilizzo di prodotti cosiddetti pirata. Quindi si passa dal metodo coercitivo all'anteprima (fare ascoltare/visionare un estratto che è poi la versione evoluta dei trailer cinematografici) per passare alla leva della morale, la classica "se facessero tutti così l'industria morirebbe". Ed è vero, ma è anche vero che se pagassimo tutti le tasse le pagheremmo tutti meno, se tutti rispettassimo l'ambiente non ci sarebbe inquinamento, se fossimo tutti meno egoisti la fame nel mondo non esisterebbe, se tutti fossero della stessa religione non ci sarebbero le guerre (ehm???).
Il punto è che siamo circa 7 miliardi di individui e non è statisticamente possibile che tutti facciano la stessa cosa. In pratica si tratta di argomentazioni retoriche che trovano, come tutte le argomentazioni retoriche, terreno fertile.
 Sia chiaro, non voglio giustificare chi scarica materiale illegalmente dalla rete piuttosto che chi della creazione e distribuzione di tale materiale ne fa il proprio business. I produttori e i distributori hanno la mia completa comprensione come chi vuole accedere ad una serie di prodotti senza avere sufficienti mezzi (economici) per poter appagare le proprie passioni.
È una tematica complessa senza ovviamente una risposta giusta.
Personalmente mi sento di consigliare di pagare almeno quelle opere cosiddette indie o autoprodotte dato che i guadagni sono davvero miseri e contemporaneamente evitare il mainstream dal momento che appiattisce i gusti verso una forma di divertimento industriale. Però è comunque una personalissima opinione, mentre sono qui a cercare di capire se comprerò o meno TPB - AFK

2 commenti:

  1. Tempo fa avevo iniziato una riflessione (qui) che prima o poi vorrei riprendere, sul copyright. Altre volte ho parlato di DRM e pirateria, il tutto con il nuovo mezzo digitale come argomento principe. Io questa rivoluzione l'ho vissuta perché quand'ero bambino si vendevano più cassette che CD, ma alle medie si iniziava già a diffondere Napster. Oggi c'è Spotify, e i primi tardivi negozi che vendono musica senza DRM... ma è tardi e anni di battaglie inutili hanno irrimediabilmente mutato la percezione della pirateria, che un tempo, ricordiamolo, era un'attività criminale di quelli che vendevano materiale contraffatto per strada (ho in mente le care, vecchie VHS).
    Fra l'altro, il discorso è spesso inquinato. In Italia, per esempio, c'è la bizzarra convinzione che un musicista sia obbligato a registrarsi in SIAE, ma non è così nonostante subisca pressioni per poter suonare e vendere il proprio disco. Risultato: l'unico modo di supportare un artista emergente è andare ai concerti e acquistare cd e merchandise direttamente da lui... e non è facile, perché bypassando la filiera di distribuzione e vendita i negozi chiudono e sopravvive il materiale scadente su cui puntano i discografici. Altro argomento inquinato, siti come TPB - che non conosco bene, ma conoscevo Megaupload/Megavideo. Credo ci sia una differenza fondamentale, ovvero il fatto di lucrarci o meno. Io non sono contrario al p2p, ma mi vengono anche scrupoli di coscienza e capita che spesso mi trovi ad acquistare (musica, perché film sinceramente non saprei dove recuperarli in digitale). C'è però una cosa che non sopporto, ed è quando qualcuno guadagna sui diritti non versati, ed è il caso di Megaupload, che, non neghiamolo, fra 100 account premium utilizzati per un backup dei propri file, il 99% sono stati creati per scaricare senza limiti file piratati. Questo, e il fatto che c'erano altre imputazioni, cose come "riciclaggio".
    Insomma, non volevo scrivere un commento chilometrico ma ci sono sempre troppe cose da dire! E che mi hai incuriosito a sufficienza su questo documentario.

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    1. Grazie per il commento. In effetti la tematica è complessa. TPB si differenzia da Megaupload perché non ospita materiale ma indica dove trovare materiale in condivisione. Cioè torrent invece che streaming. Comunque il lucro è una delle accuse mosse anche ai ragazzi di TPB, in questo caso pubblicità. Se ne hai voglia ti consiglio di dare un occhiata al film, ne vale la pena. Il dilemma da utilizzatore è proprio nel doversi sentire in dovere di premiare un artista, anzi, di pagarlo per il suo lavoro mentre dall'altro lato ti troveresti costretto sia a foraggiare una filiera spesso inutile. I prezzi di fatto sono imposti dai distributori, tant'è che condivido appieno l'acquisto "a km zero" direttamente dall'artista. E' davvero un tema complesso comunque.

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