lunedì 12 novembre 2012

Escape Goat - capri espiatori lowres

Mi capita tra le mani questo gioco in un sonnacchioso pomeriggio autunnale.
Installo e lancio senza troppe pretese e senza aver letto nemmeno una recensione.
Lancio e quello che mi si para davanti è un'immagine retrò a veramentepochi bit.
E una storia molto interessante.
Sei Goat. Sei un caprone imprigionato perché accusato di stregoneria nelle prigioni di Agnus. E vuoi scappare perché sei ingiustamente prigioniero.

Ci troviamo di fronte ad un platform che per molti versi mi ricorda The Binding of Isaac (che platform non è). Meno profondo da un punto di vista di contenuti ma altrettanto coinvolgente e sicuramente meno hardcore. Insomma, più facile. Ottimo bilanciamento tra difficoltà e originalità degli enigmi ambientali che possono essere risolti con l'aiuto di un piccolo amico, un topolino anch'esso imprigionato e con l'aiuto di un cappello magico.


 Veniamo al protagonista:

Goat ha il manto viola, occhi gialli e zoccoli e corna azzurri.
Se è vero che l'abito non fa' il monaco purtroppo lo deve rappresentare.
Goat ha un aspetto sinistro nonostante la risoluzione grafica sia (per lo standard attuale) ridicola. I colori lo rendono qualcosa di demoniaco.

Eppure non ha poteri magici. Ok riesce a cambiare la direzione del suo moto in volo ma credo sia un concetto legato all'esperienza platform piuttosto che alle origini demoniache della creatura stessa.
Tutta la magia che riesce ad utilizzare proviene da un cappello magico che trova nelle prigioni.
In oltre fa' anche amicizia. Con un topo (amicizia interspecie). E se è vero che c'è di mezzo l'utilitarismo, dato che senza il topo non sarebbe mai potuto scappare, è vero che comunque fa amicizia che non è un sentimento che dovrebbe essere associato ad un personaggio cattivo. Credo.

In pratica Goat deve scappare dalla prigione trovando delle chiavi custodite da altri prigionieri, delle pecore che aspettano alla fine di ogni livello. Alcune pecore aspettano che qualcuno le liberi, altre non sanno di essere prigioniere, altre addirittura stanno bene dove stanno perché la libertà implica dei rischi ben peggiori e non vogliono essere liberate.

Non ci vuole un genio per cogliere il messaggio.

Un ultimo cenno riguarda il titolo: il termine Escape Goat, a quanto ho capito, è un gioco di parole basato sulla parola scapegoat che significa capro espiatorio. Quindi abbiamo a che fare con una Capra Escapologa accusata di stregoneria.

A seguito il link della Magical Time Bean dove trovare il gioco al modico prezzo di 3,99€
http://www.magicaltimebean.com/escape-goat/

giovedì 25 ottobre 2012

Warrior (2011)

Ultimo post circa un mese fa.
Nel frattempo sono successe un po' di cose.
Sono diventato padre. E ho anche visto un sacco di film, ma prevalentemente sono diventato padre.
Il che prende un po' di tempo, energie, risorse e soprattutto hai voglia solo di stare con tua figlia che però ha voglia solo di stare con la (tetta di) mamma.
E allora tra una poppata e l'altra passa qualche ora e ci sta di vedersi film e telefilm e giochicchiare un pochino.
Mi capita di trovare Warrior e vedermelo una sera in cui è tutto buio e silenzioso e un film è quello di cui hai bisogno per startene tranquillo.
Diciamo che ci sono delle cose che sembrano semplici, hanno degli ingredienti semplici ma vanno uniti con maestria. La pizza ad esempio. Gli ingredienti e la preparazione sono gli stessi da secoli, eppure ci sono pizze fantastiche e pizze mediocri e pizze che fanno schifo.
Warrior è una ricetta semplice e un pochino paracula il cui risultato è davvero fantastico.
La trama in breve: l' ex veterano e lottatore professionista (nonché ex alcolizzato) Paddy riceve la visita di uno dei suoi due figli, Tommy.
Tommy è un militare con un passato da stella della lotta. E' rabbioso, è rancoroso ed è determinato a mantenere una promessa. L'altro fratello Brendan ha una vita normale. Ha una moglie, ha una figlia e fa l'insegnante di liceo. Anche lui è un ex lottatore e quando le disgrazie finanziarie minacciano di frantumare il suo mondo rimane da intraprendere solamente una sola strada. E sia per Brendan che per Tommy questa strada è rappresentata dal torneo Sparta, torneo MMA (Mixed Martial Arts) il cui vincitore si porterà a casa l'esorbitante cifra di 5 milioni di dollari.

Kurt Angle
In Warrior ci sono le tematiche del dramma sportivo. Siamo dalle parti di Million Dollar Baby ma il finale non è patetico. Forse siamo più dalle parti di The Wrestler ma dal ritmo più attivo. I personaggi sono ben caratterizzati anche se abbastanza classici (Nick Nolte il padre alcolizzato, Tom Hardy l'astro nascente che non è sbocciato e Joel Edgerton il boy scout). Eppure stupiscono, evolvono e commuovono. Siamo un pochino anche dalle parti di Rocky. E poi ripeto c'è Tom Hardy che è davvero un attore stracazzuto. L'ho adorato in Bronson, ha dato senso a un film nel complesso deludente (avevo grandi aspettative...) quale l'ultimo Batman e qui, ecco, in Warrior butta una rabbia e una sofferenza in un personaggio che sarebbe altrimenti risultato la parodia di un cliché.
E poi ci sono numerose partecipazioni di atleti professionisti del circuito MMA tra cui Kurt Angle ed Erik Apple. Dal che si spiega perché i combattimenti sembrano veri.

Questo è il primo film che vedo di Gavin O'Connor (l'ultimo nella sua produzione) del quale firma anche soggetto e sceneggiatura.
Non so se sia ancora pubblicato in Italia ma è un film che ho davvero apprezzato perché come accennavo impasta ingredienti e meccaniche ben rodate ma non cade nella meschinità

martedì 18 settembre 2012

Top Five Videogames




Complice una tendenza nei blog che seguo a stilare classifiche ma soprattutto la visione di Hi Fidelity con John Cusack (ok, ok, il libro è un'altra cosa e lo so ma le classifiche la fanno da padrona sia su schermo che su carta) ho deciso di stilare una bella top five.
E dal momento che mi occupo di scribacchiare prevalentemente di libri, di film e di videogames, penso che dedicherò questa classifica ai miei videogames preferiti di sempre. Non si tratta di capolavori universalmente riconosciuti o stronzate del genere ma semplicemente di giochi che per un motivo o per un altro si sono guadagnati un posticino speciale nella mia memoria.

Numero : 5
Titolo : Maniac mansion:Day of the Tentacle
Genere : avventura grafica punta e clicca
Artwork of a vertical rectangular box. The top portion reads "Maniac Mansion Day of the Tentacle" with a group of three human characters and a purple tentacle.Anno : 1993

Pubblicato dalla Lucas Art,  è stato uno dei primi giochi  punta e clicca (e uno dei primi giochi in assoluto) a cui abbia mai giocato. Tentacolo Viola diviene un genio del crimine intenzionato a conquistare il mondo. Toccherà a Bernard Hoagie e Laverne fermarlo viaggiando nel tempo prima che possa, di fatto, sviluppare sia l'intelligenza che i malvagi propositi.
La cosa che mi ha davvero colpito di questo gioco era la risoluzione degli enigmi attraverso le conseguenze causa/effetto tra tempo passato e futuro. (Un esempio per tutti era liberare un personaggio rimasto intrappolato su un albero nel futuro tagliando lo stesso albero nel presente).
Grafica cartoonesca con personaggi davvero ugly (un po' ripresi dai cartoonist tipo Sponge Bob o Mucca e Pollo) e una trama esilarante e coinvolgente.
Girava su Dos, sul mio vecchio 386. Quattro floppy se non ricordo male. E diverse ore di divertimento.


Numero :4
Titolo : Kings of Dragon
Genere : coin/up action a scorrimento
Anno : 1991

Quando vidi per la prima volta The King of Dragons era già qualche tempo che giocavo assiduamente ad Heroquest e D&D . All'epoca l'esaltazione per le ambientazioni medieval fantasy era quindi al top e TKOD appagava la voglia di giocare con un compromesso piuttosto vantaggioso, 200 lire per un'ora di evasione (riuscivo ad arrivare senza troppe difficoltà al Dark Knight con una vita).
Personaggi estremamente stereotipati (guerriero ignorante, chierico corazzato, mago cannone di vetro, nano con lascia ed elfo Robin Hood) immersi in un mondo colorato e high fantasy, dovranno scontrarsi con tonnellate di mostri per arrivare alla fine a combattere il drago rosso Gildriss, per il sconfiggere il quale era necessario investire buona parte dei risparmi di una vita.
Non avendo mai capito come parare con lo scudo, ho sempre optato per giocare con l'elfo o il mago.
Ritrovare questo meraviglioso coin-up dopo anni sui M.A.M.E. roms non ha prezzo. Letteralmente.


Numero :3
Titolo : Dune 2
Genere : RTS
Anno : 1992

Pubblicato dalla Westwood Studios quando ancora non avevo finito le medie, Dune2 ha gettato letteralmente le basi dei moderni RTS.
Ispirato al romanzo di Frank Herbert (e credo molto di più al film di David Lynch) dava la possibilità di conquistare il pianeta Dune, attraverso la scelta e il comando di una delle grandi casate in lotta per il dominio della Spezia, droga di carattere divino in grado di permettere l'annullamento dello spazio e quindi il viaggio interstellare in tempi immediati.
Le casate tra cui scegliere sono Atreides, Harkonnen e (creata appositamente per il gioco) Ordos.
Il gioco inizia dovendo scegliere una porzione del pianeta da conquistare e mettere in piedi base ed armate per farlo.
La realizzazione spaventosamente curata e i numerosi riferimenti all'opera di Herbert rendono questo gioco molto attuale da un punto di vista di contenuti. La grafica è ormai a dir poco obsoleta.

Numero :2
Titolo : Braid
Genere : Platform/Indie
Anno : 2008

Salto di oltre 15 anni dai tempi in cui la barba non mi cresceva e mi ritrovo a giocare a Braid.
La prima impressione  è quella di avere a che fare con un capolavoro.
Il gameplay è un platform del tipo Supermario con enigmi ambientali complessi e geniali. E tutto il gioco orbita sul concetto di tempo.
Il tempo come flusso, il tempo perduto, il tempo come indelebile macchia e il tempo come redenzione.
Il gioco è arte allo stato puro, poetico e allo stesso tempo rabbioso. I testi che Tim (il protagonista del gioco) trova tra un mondo da esplorare ed un altro sono evocativi e sembrano riferirsi ad esperienze di vita che chiunque, in qualche modo, ha affrontato.
Adoro Braid perché è davvero come un'opera d'arte, da interpretare in base ai propri trascorsi. Giusto per rimanere in tema di tempo.


Numero :1
Titolo : The Witcher
Genere : RPG
Anno : 2007
Ripensando a The Witcher mi vengono in mente le numerose e infinite scene di caricamento. Lunghe e snervanti, spezzaritmo e irritanti. Nonostante tutto penso che sia uno dei migliori giochi a cui abbia mai giocato.

Geralt è un Witcher, un mutante cacciatore di mostri che vive in un mondo dove imperversa la guerra e i mostri rappresentano una piaga che pochi hanno i mezzi per risolvere.
Il mondo del gioco è adulto, c'è la guerra, il sesso e la morale non è un valore inserito negli script del gioco dove se fai l'azione buona guadagni più punti esperienza. Non esite affatto una morale ma solo conseguenze. E le conseguenze non sono mai immediate ma hanno ripercussioni che si svolgono molto più avanti nel gioco rispetto a quando una scelta è stata presa.
E poi Geralt è un figo, i semi umani non sembrano delle caricature degli stereotipi di D&D (elfi originali e nani stracazzuti, per una volta). E la magia è rara e terrificante.
Ma soprattutto l'idea che trovo davvero azzeccata è come le pozioni vengono gestite; si tratta di potenti droghe che perdurano nel tempo ed hanno effetti collaterali. Come a dire che per anni giocando di ruolo e avendo a che fare con personaggi che hanno ingurgitato di tutto per guarirsi, potenziarsi, velocizzarsi, parlare coi morti...insomma, ci sarà un cazzo di effetto collaterale no?
Poche volte giocando ad un RPG ho trovato la profondità espressa in quest'opera prodotta da CD Projekt RED STUDIO e tratta dai lavori di Andrzej Sapkowski (ho letto solo The last Wish e cazzo se merita). Nonostante i tempi di caricamento.


Ovviamente ho dovuto escludere numerosi giochi che considero davvero memorabili  come Vampire the Masquerade: Redemption e Bloodlines, the Binding of Isaac, God of War, Mass effect, Doom e tipo un milione di altri.
Ad un certo punto della vita però uno deve scegliere.

martedì 11 settembre 2012

Walkthrough, cheating e Lupo Solitario

Post confuso e confusionario scaturito da un pomeriggio passato a riesumare vecchi ricordi con nuove tecnologie.
Come accennato qualche tempo fa sono possessore (felice) di uno smartphone che monta Android.



Cazzeggiando sullo shop di Android Google Play mi sono per caso imbattuto in un'app dall'inequivocabile titolo, se associata all'inconfondibile miniatura, di Lone Wolf.
Leggo i commenti e la descrizione e BAM!, si tratta esattamente di quello che pensavo che fosse.
I libro-game di Lupo Solitario editi gratuitamente come applicazione Android (ad oggi sono stati pubblicati solo i primi 3 libri)
Scarico immediatamente il malloppo e mi metto a giocare.
 
La prima volta che mi sono imbattuto in un libro-game avrò avuto circa 11 anni.
E si trattava proprio di Lupo Solitario, ultimo esponente di un ordine di monaci guerrieri sterminati vigliaccamente da un attacco dei Signori Oscuri, loro acerrimi nemici. Lupo Solitario (che fino allo sterminio dei confratelli si chiamava Lupo Silenzioso) dovrà prima di tutto fermare l'avanzata dei Signori oscuri e successivamente restaurare l'ordine dei Ramas (Kai in originale).
In pratica un libro-game è un particolare tipo di libro a bivi.
Il personaggio protagonista è in possesso di determinate caratteristiche che serviranno ad affrontare le avventure descritte nel libro narrato in seconda persona singolare.
Alla fine di quasi ogni paragrafo si presenta una scelta; se si sceglie una cosa il libro dice di proseguire andando ad una pagina, altrimenti rimanderà ad un'altra pagina e così via.

Lupo Solitario fu il mio primo e quasi unico amore in questo genere di pubblicazioni.

Affrontava temi dell'abbandono, del Dickensiano dalle stalle alle stelle, della vendetta e della giustizia; il tutto condito da magia, violenza e descrizioni adulte in un contesto medieval fantasy manicheista ma dagli spunti interessanti.

Una cosa caratterizzava i libro-game Lupo Solitario, la difficoltà.
Morire era piuttosto facile. Ok, non ai livelli di, che so, Super Meat Boy ma comunque tutt'altro che semplice.
Sbagliavi strada, cadevi in un burrone e i confratelli dell'ordine non sarebbero mai stati vendicati. Affrontavi un Helgast e prendevi gran pedate (non-morte) nel culo.
Ti addormenti e un serpente ti avvelena (a meno che non hai tra le abilità l'Affinità animale ma per averla avresti dovuto rinunciare a cose molto più cazzute e quindi nemmeno saresti arrivato al serpente). Insomma, morire = easy.
Però era un libro e quindi si poteva, ecco, imbrogliare.
Muoio per un bivio sbagliato? Semplicemente torno alla pagina precedente dove avevo lasciato il dito a tenere il segno.
Combattimenti? Vinti di default.
Serpenti? Ah ah ah.

Purtroppo (?) però con la tecnologia le cose si sono fatte un po più complicate.
Se è pur vero che il libro-game anticipava in qualche modo il concetto di ipertesto (link che mandano ad altri luoghi...), era possibile tornare indietro.
Invece nell'applicazione Android, giustamente, non lo è. Quindi senza cheating si crepa.

Risultato, mi sono ritrovato a giocare Fire on the Water la bellezza di una decina di volte perché continuavo a morire.
E non c'è un cazzo di modo di fregare il sistema.
Il computer tiene memoria degli oggetti persi, di quelli acquisiti, dei limiti, di quante volte mangi dormi e cachi e delle abilità acquisite nei libri precedenti.
Insomma, non si scappa.
Il che è giusto ma parliamo comunque di un libro...vorrei vedere la fine non ripercorrere le stesse pagine.
Fatto sta che in piena disperazione ho cercato ovunque un walkthrough per superare il secondo meraviglioso libro.
E nada, quindi pazienza, perseveranza, insonnia e ossessione e alla fine sono riuscito a finirlo. BAM! Brucia Zagarna, brucia.
Che fatica però.

Non credo esista un walkthrough di Lupo Solitario o se c'è non l'ho trovato.

Risultato? Estrema soddisfazione e un pizzico di amarezza.
Ho riletto le storie delle avventure che ho affrontato ed amato da bambino. Ma l'ho fatto da adulto. Senza la possibilità di trovare, come dire, una strada facile.

Per chi volesse approfondire segnalo questo bellissimo post scovato on line.

lunedì 3 settembre 2012

Eroi per convenienza, eroi per necessità

Ho da poco finito Sleeping Dogs, free roaming sulla falsa riga di GTA nel quale si indossano i panni di un poliziotto sotto copertura che cerca di decapitare una potente famiglia della triade di Hong Kong.
Divertente e adrenalinico, merita di essere giocato.
Una cosa però ha colpito la mia attenzione, la possibilità del dating.
Il protagonista, Wei Sheng, è un fascinoso sbirro che finge (?) di essere un gangster. E come tale svolge la vita da gangster. Grosse auto, serate in discoteca e donne. Tante donne.
Ad un certo punto nel gioco quindi Wei fa la conoscenza di una o più ragazze.
Le ragazze gli lasciano il numero di telefono. A questo punto è possibile ricontattarle e uscire con loro.
Si tratta di piccole missioni dove fare cose tipo fotografare la compagna, svolgere un contest di karaoke, mostrare le proprie abilità alla guida, eccetera eccetera.
Se si riesce a fare tutto a dovere, la ragazza si concederà a Wei e il nostro eroe acquisirà un'abilità speciale.

Assodato che la dinamica "missione - ricompensa" sia alla base della stragrande maggioranza della produzione videoludica a carattere vagamente ruolistico dove l'eroe di turno affronta differenti missioni e viene adeguatamente ricompensato attraverso esperienza, denaro, oggetti, abilità, sembrerebbe automatico sostenere che senza ricompense non verrebbe senso andare avanti.
Oppure si?

La mia riflessione è scaturita da Sleeping Dogs perché la componente sessista è piuttosto forte, anche se divertente. il dating potrebbe benissimo essere fine a se stesso.
Si esce con una ragazza, si affrontano delle prove e se si riesce si va fino in fondo con lei.
Punto. Perché aggiungere altro?

Seconda riflessione.
In molti giochi dall'impronta ruolistica (non parlo necessariamente di GDR veri e propri) si interpreta il ruolo di un eroe che deve salvare il mondo, un villaggio, qualcuno, dal cattivo di turno. A volte l'eroe è un mercenario, un soldato di ventura, un bandito. E ci sta allora la dinamica "missione-ricompensa". Altre volte invece si interpreta un eroe senza macchia. Il famigerato cavaliere bianco.
Allora perché il cavaliere bianco che, impegnato nella quest su come sconfiggere il drago di turno (che può essere rappresentato dai Collettori come da Jenova) viene coinvolto in una missione secondaria deve venire per forza di cose ricompensato?
Se la motivazione vera è la gloria o il senso di giustizia, perché accettare o richiedere un compenso come un vile mercenario?

Terza ed ultima riflessione.
Se il nostro eroe è l'unico e dico l'unico al mondo a poter sventare la minaccia che metterebbe il mondo in ginocchio e l'umanità a rischio estinzione, perché non esiste un benefattore, un finanziatore, una cooperativa che unisca le forze per sovvenzionarlo con un equipaggiamento decente? O almeno, perché le armi e l'equipaggiamento migliore non viene eccezionalmente scontato, dato che serve a salvare il mondo.
Voglio dire, l'avido mercante che non vende l'equipaggiamento al nostro eroe, non si chiede a chi potrà vendere la propria mercanzia se il mondo cadrà preda delle tenebre proprio perché non ha voluto vendere la Spada della Giustizia Divina a chi, di fatto, poteva effettiva mente utilizzarla per qualcosa di utile?

Il mondo dei videogames è spietato e costretto da bieche logiche che farebbero impallidire anche gli squali dell'alta finanza.
Forse il comportamento dei personaggi e piegati alla dinamica "missione-ricompensa" è soltanto la risposta preventiva all'avidità dei mercanti poligonali.
O forse sarebbe necessario affrontare i giochi di ruolo in modo meno realistico e più ruolistico.
È la loro natura, in fondo.

martedì 28 agosto 2012

The Gamers - un must per chi gioca di ruolo





Alcuni anni or sono mi è capitato di vedere sul tubo questo film a budget ridicolo (circa 1000 $) che mi ha divertito ed esaltato molto più di grandi produzioni.
Sto parlando di The Gamers, film tributo realizzato da giocatori di ruolo per giocatori di ruolo e prodotto dalla Dead Gentlemen Productions

Spenderei un paio di parole su cosa è un gioco di ruolo e cosa rappresenta.
È fondamentalmente un gioco da tavolo che richiede la presenza di almeno due persone (conosco qualcuno che riesce a giocare da solo ma personalmente non ci ho mai provato) fino ad un numero indefinito. Normalmente uno dei giocatori interpreta il ruolo del master (o custode o keeper o altre mille definizioni),  e si occupa della creazione dell'avventura, dei personaggi non giocanti e del mondo dove inserire l'avventura e i personaggi. Gli altri giocatori invece dovranno interpretare un personaggio (ma volendo anche più di uno, sebbene il gioco di ruolo in senso stretto preveda un personaggio a giocatore) che dovrà muoversi all'interno del mondo creato dal master, cercando di risolvere l'avventura oppure realizzare i suoi scopi. Si tratta quindi di un gioco a forte componente recitativa che prevede grandi possibilità di azione e regole più o meno complesse a seconda del tipo di gioco che si sta svolgendo (Dungeons and Dragons, Call of Cthulhu, Gurps, Cyberpunk 2020...per citare i più famosi) che di fatto rappresentano sia il background delle avventure che il sistema di regole.

I giochi di ruolo sono stati e sono tutt'ora una delle miei principali fonti di intrattenimento. Giocare di ruolo permette di evadere dalla realtà e creare contenuti a livelli piuttosto elevati da condividere, fondamentalmente, coi propri amici.

Chiusa la chiosa, parliamo di The Gamers.
Film very low budget totalmente gratuito, si sviluppa sulle contraddizioni delle regole e soprattutto dei giocatori di ruolo.
Le scene prendono il via in un dormitorio dove dei ragazzi si riuniscono intorno a un tavolo per giocare  ad una sessione di una partita a quello che dovrebbe essere AD&D. Raccolgono le schede, i dadi e sparando qualche cazzata si apprestano a iniziare la partita. Subito quindi la scena si sposta nel mondo dove il gioco è ambientato, un luogo di chiara ispirazione fantasy dove i loro personaggi devono salvare la principessa di turno dal nemico del regno...The Shadow.

Farsi ingannare dalla semplicità della trama, però, sarebbe un errore.
Il film è sorprendentemente esilarante e solo per chi ha mai giocato di ruolo è davvero irresistibile. Affronta casi e paradossi quali le regole e la mancanza di limiti alla loro applicazione o alle ossessioni dei giocatori di collezionare esperienza/coin a discapito della natura del gioco in se, che dovrebbe essere recitare, fino alla morte dei personaggi e al rientro in gioco.

Qualche esempio:
il ladro che ruba i pantaloni ad un avventore in una locanda grazie ad un tiro fortunato, il mago che viene ucciso "per errore" da un compagno che a causa di un tiro troppo favorevole lo spara letteralmente per aria, il personaggio gestito dal master perché il giocatore è impegnato nella vita vera.

Come accennavo, quindi, i temi affrontati sono molti e tutt'altro che sconosciuti per chiunque abbia mai giocato.
La recitazione è ovviamente a livello amatoriale il che tuttavia non toglie nulla all'ottimo risultato dove trovo doveroso tra le altre cose mettere l'accento sul finale, inaspettato e in un certo senso simbolico.

Qui il link ad IMDB e qui il link alla prima parte del film.

Nel complesso una visione davvero davvero consigliata da sciropparsi insieme al seguito che con il titolo esplicativo di The Gamers 2 - The Dorkness Rising, affronta le stesse tematiche dando un peso maggiore sia al mondo reale sia ai rapporti esistenti nel mondo reale.

venerdì 24 agosto 2012

Android Vs iOS




Da qualche settimana sono possessore felice di un device Android.
Uno smartphone per la precisione.
L'intenzione era quella di comprare uno strumento che facesse un po' di tutto, macchina fotografica/cinepresa, navigatore, telefono, player e ovviamente computer.
Prima di prenderlo, però, mi sono ripromesso di non usarlo per giocare per i seguenti motivi:


- trovo il casual gaming da sfigati
- non ha le potenzialità di una console o di un pc
- rischierei di bruciarmi il cervello cercando di accoppare dei maiali nascosti dietro lastre di ghiaccio
- trovo il casual gaming veramente da sfigati

Ovviamente i buoni propositi sono andati a farsi friggere e mi sono scaricato dei titoli piuttosto interessanti...complice la gratuità.
Ma non voglio parlare di videogames.


Brevissimo cappello introduttivo: la scelta è caduta su android invece che su un prodotto Apple perché Android è altamente personalizzabile. Non sono un fanboy fanatico ed esaltato.
Non ho particolare amore o avversione per Google piuttosto che Apple. Ho comprato uno strumento per fare delle cose, esattamente come comprerei un'automobile: mi serve per spostarmi non per presentarmi.
Mi affascina l'idea di poter personalizzare un prodotto ma non per questo consiglierei a chiunque uno strumento che monti Android. Dipende da quello che devi farci.

Eppure la considerazione a cui sono giunto dopo poco tempo è che la gente ha una spasmodica tendenza all'integralismo.

Per capire bene Android mi sono registrato su Androidiani.com, che credo sia un punto di riferimento nell'ambito. E li mi sono stupito nel vedere la partecipazione viscerale degli utenti Android per difendere il loro amato robottino dagli attacchi degli Apple user.
Flame wars, trollaggio, ragazzini esaltati che parlano come se fossero azionisti di una società piuttosto che un'altra.
Davvero spaventoso.

Non è un attacco ad Androidiani il mio, tutt'altro. Trovo il portale utile e i moderatori gentili e preparati.

E tutto sommato il clima è molto tranquillo. Per correttezza questo è il link di Androidiani.

Quello che mi ha stupito però è la partecipazione esasperata a concetti piuttosto che a prodotti e il risultato sembra essere quello di vedere una guera tra sette religiose. Al posto del crocefisso o della mezzaluna una mela o un robottino e la stessa cieca fiducia e violenta argomentazione che potrebbe esistere in uno scontro culturale tra persone poco colte.

Eppure la preparazione è alta.
La maggior parte delle persone che intraprendono la strada dell'integralismo tecnologico è composta da ragazzi/e di un certo livello culturale anche se monotematico. Un po come i fanatici di calcio (non di sport).
Vagando per la rete mi sono imbattuto in numerosi esempi di integralismo tecnologico. Su youtube le recensioni tra i prodotti Apple comparati a quelli Samsung o Nokia generano diatribe e coltellate virtuali.

Forse in generale è una tendenza umana. magari ci sono persone che amano alla follia Call of Duty e litigherebbero coi fan di Battlefield.
Personalmente ho giocato entrambe le serie, ottime entrambe.

Forse sono fuori dal mondo, forse l'interesse è generato dal conflitto. O forse è divertente litigare.
Fatto sresta che davvero non riesco a capire questa tendenza all'idolatria.

sabato 18 agosto 2012

Anonymous - Operation Jubilee

Non so esattamente di cosa si tratti ma a questo indirizzo appare un count down:

http://users1.jabry.com/OperationJubilee/

Si tratta, a leggere dal sito di Anonymous, di un progetto volto a cancellare povertà, debito mondiale e fermare tutte le guerre.

Non so se una cosa possibile sia fattibile. Credo fermamente nella crudeltà della razza umana quale componente genetica. Senza crudeltà non saremmo umani ma una razza migliore, superiore.
Però perché non sperare, dato che anche la speranza è parte intrinseca della nostra linea genetica?

Questo il link dove poter visionare il video
http://anonpr.net/jubilee-956/

Il progetto è aggiornato via facebook e twitter
http://facebook.com/opjubilee
#OpJubilee

Ripeto, non so se seva a qualcosa ma tanto vale tentare.


domenica 12 agosto 2012

INDIE GAME: THE MOVIE

intervistatore : "cosa faresti se non riuscissi a finire il gioco?"
Phil Fish: "mi ucciderei, è questa la mia motivazione"

  Mi sono imbattuto in questo documentario quasi per caso.
  Cazzeggiavo leggendo una rivista di videogames e mi balza
  all’occhio un riferimento a questo film.
  Nell’articolo si parlava del documentario che spiega la genesi di 
  SuperMeatBoy.
  Più che sufficiente, vado a cercarmi il film.
  In effetti si parla di si di SuperMeatBoy ma il film tenta di
  esplorare (a mio avviso centrando in pieno l’obiettivo) il difficile 
  mondo degli sviluppatori di videogames Indie.
  In particolare il focus è centrato su tre titoli: Braid di John Blow, il 
  già citato SuperMeatBoy di Edmund McMillen e Fez di Phil Fish 
  che all’epoca del documentario non era stato ancora rilasciato.
  Si vedono quelle che sono le difficoltà, le privazioni, la fatica di 
  essere un piccolo team di una, due, tre persone e di quello chè è il 
  beta testing, accedere ai fondi economici (kickstarter), le pressioni lavorative, gli sforzi ma anche le opportunità del digital delivery. E soprattutto si esplora il lato personale dei ragazzi che stanno dietro a questi giochi. Come vivono la loro vita in termini di relazioni, di amicizia, di lavoro e nei confronti di quella che è l’ultima forma d’arte in termini cronologici.
I giochi dei quali si segue la genesi e lo sviluppo non hanno bisogno di grandi presentazioni ma una doverosa introduzione è necessaria:  

Braid è senza dubbio un capolavoro. Ha rinventato il platform, ha unito Supermario a Monet tirando fuori una storia eterea che scava nell’esistenzialismo lasciando volutamente il giocatore con una manciata di risposte da interpretare e grandi interrogativi sulla vita. Un gioco che è una vera e propria perla.
 

SupermeatBoy, ecco, è il platform più adrenalinico a cui abbia mai giocato. Si indossano i panni di un ragazzo privo di pelle che cerca di salvare la propria compagna (Bandage Girl) dal terribile Dr. Fetus. Il gioco cita Sonic the Hedgehog, Street Fighter e Doom, oltre a molti altri titoli.
Fez invece è un platform in pura pixel art. Di sicuro il gioco più originale dei tre, narra delle gesta di un personaggioche vive in un mondo 2D che scopre l’esistenza del 3D. Gli enigmi verranno risolti esclusivamente tramite la giusta prospettiva.
 Il film esplora la vita di questi sviluppatori che di fatto sono dei veri e propri artisti. Edmund McMullen e Tommy Refenes (Team Meat) sono dei nerd da film americano. Gente che deve aver preso grandi calci nel culo dalla vita, prima che la diffusione endemica di internet e delle tecnologie consegnasse il mondo nelle mani di chi a scuola è sempre stato umiliato. Gente estremamente intelligente, creativa, geniale e per questo per forza di cose emarginata.

John Blow è un personaggio enigmatico ed etereo. E Braid è la trasposizione della sua personalità, a quanto il film lascia vedere. Il gioco è da giocare, rigiocare e giocare ancora. Pieno, denso, difficile. Una fiaba digitale dai risvolti ermetici. La creazione di un videogioco è un dialgo unico tra sviluppatore e giocatore.
Phil Fish

In fine Phil Fish, personaggio estremo. Ossessionato dal dettaglio, conscio del proprio genio e delle potenzialità di un prodotto che non riesce a finire. Una vera e propria rock star dell'universo underground dell' Indie Gaming, prima osannato e poi odiato. Preso tra problemi legali, di sviluppo e di prospettiva sia del gioco in se che dal gioco stesso. All'epoca il gioco non era ancora stato rilasciato (lo sarà nei primi mesi del 2012).
I giochi prodotti, le opere direi, sono a mio avviso quello che avrebbe potuto creare Orson Welles o Bunuel o anche Picasso se fossero stati in grado di usare un linguaggio di programmazione. Certo, parliamo di giochi, cioè intrattenimento. La vita stessa però è un gioco, nel senso che ci sono regole, una durata e dei partecipanti. Guardare una mostra di pittura, un'installazione, un'opera teatrale, anche questo è intrattenimento. In un videogioco si può trovare tutto quello che esiste nelle altre forme d'espressione, ma non è vero il contrario.
Sono ormai certo che nel 2012 poche persone considerino i videogames una roba da bambini. O almeno lo spero. Se qualcuno ancora pensasse ai videogames come un prodotto di basso livello, ecco, gli consiglio vivamente di guardarsi questo film.

 Per dovere di cronaca il film è del 2012 ad opera di James Swirsky e Lisanne Pajo, registi canadesi.

mercoledì 1 agosto 2012

Cesare deve morire





 

A volte capita di vedere dei film che riescono a stravolgere il punto di vista su cose che vanno oltre l'intrattenimento.
A me è capitato con questo "Cesare deve morire".

 Si tratta della rivisitazione di una delle tragedie più famose di Shakespeare, il Giulio Cesare appunto.
Il film parla appunto della realizzazione dell'opera, della messa in scena, da parte di un gruppo di detenuti inseriti in un programma creativo/didattico. Detenuti del carcere di Rebibbia, gente che ha fatto cose pesantissime. Il fatto è che questo film è quasi un documentario, dato che gli attori sono veri e propri detenuti e non attori professionisti.
Ho cominciato a guardare il film sapendone poco e nulla. Ero attratto dal fatto che fosse tratto da un'opera di Shakespeare, tra l'altro una delle mie preferite. Sapevo che era tratto dal Giulio Cesare e che era ambientato in un carcere e inizialmente pensavo ad una sorta di parallelismo tra Cesare che si fa tiranno e viene ucciso con una storia di un detenuto che acquisisce sempre più potere in carcere e viene ucciso dai suoi fidati collaboratori. Una roba un po’ più grezzamericana insomma.
Invece no, si tratta della vera e propria realizzazione dello spettacolo, prove e tentativi continui e costanti con degli attori che sono davvero bravissimi (su tutti, a mio avviso, Salvatore Striano) guidati dal regista teatrale Fabio Cavalli che non conoscevo.
Il film inizia dalla fine. La fine di Bruto che viene aiutato a morire e il saluto di tutti gli attori ad una platea entusiasta. Poi gli attori che vengono piano piano riaccompagnati in cella e qui si capisce che si tratta di carcerati.
La prima considerazione: avrei preferito non sapere nulla. La prima scena è molto forte, intensa. Si passa dall'estasi della folla che sfama con gli applausi gli attori alla solitudine della cella, dove quello che resta è il ricordo e la propria mente.
Avrei preferito approcciarmi al film in silenzio, conoscere solo il titolo e nient'altro. In realtà questo dovrebbe valere per tutti i film. Purtroppo però ci si divide in generi, sottogeneri, trame, partecipazioni, idee e soggetti. Ci si avvicina alla visione di un film solo dopo aver letto la trama, quante stelle ha su IMDB o se è fresh oppure rotten. Ecco, bisognerebbe andare a vedere alla cieca.
Una seconda considerazione: il carcere.
Non so cosa possa voler dire essere tenuti prigionieri contro la propria volontà. Non nutro un grande rispetto per il sistema carcerario del nostro paese. Non sono mai stato in prigione.
L'idea di base è che il carcere serva a riabilitare chi ha sbagliato.
Anche su questo avevo dei dubbi. Avevo.
C'è gente che in galera ci finisce perché combina cazzate gigantesche.
Spaccio, traffico di armi, prostituzione, truffa, rapina, omicidio. Reati contro le persone. Contro il patrimonio.
Lo fanno per mille motivi. Alcuni sono motivi di origine culturale, altri forse sono motivi di ordine naturale. Ci sono nati.
La tendenza è che sia la cultura a portare alla deriva. Cultura nel senso di ambiente e valori e sistema culturale in cui uno cresce. Pensare ad un criminale genetico è piuttosto fuori moda. E un po' è anche da stronzi.
Dicevo che questo "Cesare deve morire" mi ha scosso per un motivo semplice: in carcere ci sono delle persone. Non degli elementi, dei casi, dei soggetti. Gente che magari è nata nel posto sbagliato. Gente che è cresciuta vedendosi sottratto ogni diritto con la forza. E che è cresciuta pensando che fosse quello il modo corretto di comportarsi in società.

 Gente che magari ha del talento, forse anche del genio, ma che è priva delle possibilità di partenza. Alla faccia del libero arbitrio. So che non si tratta di considerazioni particolarmente profonde. Per molte persone è ovvio. Però per me non lo è. Sapevo anche prima che in galera c'è della gente. Probabilmente della gente che se è li se lo merita. Però capire la differenza sostanziale tra essere della gente ed essere una persona, ecco, mi è servito.

Il film è bellissimo. Non mette al fuoco pipponi moral/riabilitativi come ho fatto io in questo post e la potenza dei dialoghi di Shakespeare esplode fino allo stomaco di chi ascolta, rendendo davvero superfluo il colore.
Il film ha vinto l'Orso d'Oro del festival di Berlino ed è circolato nelle sale italiane tipo per 10 giorni in tre o quattro cinema. Anche su questo ci sarebbe da riflettere sull'intenzione riabilitativa delle carceri. un film che può fare qualcosa viene praticamente censurato per esigenze commerciali.
Chiudo con un grazie di tutto cuore ai fratelli Taviani, i registi che a più di 80 anni hanno tirato fuori un qualcosa di stupendo.

venerdì 20 luglio 2012

Ready Player One




Ammetto che sono una persona influenzabile.
Diversi blog che seguo hanno parlato bene di Ready Player One (qui uno per tutti) libro di (fantascienza? tributo al gaming hard core? manuale di sopravvivenza ai possibili sviluppi del social network?) scritto da Ernest Cline, sceneggiatore alla sua prima esperienza di scrittura.

La trama in breve:
La trama in breve
nel 2044, la terra sta affogando in un clima geopolitico esasperato e prossimo al collasso. Crisi energetica, crisi economica, guerre, carestie ("cani e gatti che vivono insieme, masse isteriche..."cit). Le grandi masse disperate e scoraggiate che sopravvivono a stento hanno una sola via di fuga, l'Oasi, una versione ipersviluppata di un mashup tra WoW (non a caso questo acronimo tornerà nel libro) e Facebook. L'Oasi è il videogioco definitivo, un MMORPG senza limiti di giocatori, immenso che ospita migliaia di mondi con caratteristiche differenti. Da mondi cyberpunk a mondy fantasy, ambienti dove funziona la magia, altri dove funziona la tecnologia, altri dove si può combattere (PvP) e altri dove non è possibile.
L'accesso all'Oasi è gratis (ma il rischio è che non lo sarà sempre a causa degli interventi della IOI, perfida megacorporazione) e bastano un visore e un guanto per fuggire dalla realtà disgustosa e farla morire sacrificandola al fulgore della vera realtà virtuale. Perché sull'Oasi non solo si gioca, ma si conducono affari, si studia, ci si innamora e si lavora senza mai conoscersi di persona.
Il creatore dell'Oasi, un genio del gaming chiamato James Halliday, muore senza eredi e attraverso un messaggio lanciato a tutti gli utenti dell'Oasi afferma di aver organizzato un contest: chiunque risolverà una serie di indovinelli e scoverà l'Easter Egg nascosto nell'Oasi diventerà unico erede del suo impero multimiliardario.
Il libro narra le gesta di questa cerca.



Ora, il libro l'ho letto in tipo tre giorni.
Formato Ebook, rigorosamente in inglese (se leggere in inglese non vi crea impedimenti, posso tranquillamente dire che il linguaggio è semplice eccetto alcuni neologismi un po' ostici per i poco avvezzi al gergo del web). Dico che l'ho letto in tre giorni perché il libro ti fa letteralmente voltare le pagine. E' appassionante ed è un costante e continuo tributo alla cultura pop anni '80. Dai teen movies alla musica alla letteratura, alle produzione anime e manga e soprattutto al gaming. Perché Halliday è un genio ossessionato dagli anni '80 e tutti gli indizi per vincere il premio finale sono profondamente legati al decennio pop per eccellenza.

 



Che dire, non è il libro perfetto. Ci sono diversi elementi messi solo come citazione senza nessun riscontro nella trama e altri invece che saltano fuori al momento, quando servono senza mei essere citati prima. Alcuni personaggi sono molto stereotipati e sembrano saltati fuori da Harry Potter. Ci sono tutti i cliché del genere (mondo in crisi, multinazionali spietate, fuga dalla realtà) anche se in chiave piuttosto originale. Però è il primo libro che Cline scrive e si vede che c'è un bel lavoro di editing in diversi punti. Non annoia mai e il personaggio principale, Wade/Parzival, evolve in modo complesso.


Ernest Cline con la sua Delorean e la sua trappola
Cline è un esperto degli anni '80 e di tutto quello che hanno rappresentato. Un geek col pedigree per quello che riguarda la produzione videoludica. Il libro è una costante fonte di informazione per tutti gli appassionati del genere. Si citano mostri sacri come Galaga e Joust, Pac-Man, Black Tiger e moltissimi altri.
Però non è solo questo. Perché Cline si ferma a fare anche delle riflessioni piuttosto interessanti anche se non originalissime sul fenomeno dell'isolamento (hikikomori ma non solo), alienazione e stillicidio della realtà.
Bellissima la descrizione del sesso virtuale come "masturbazione computer assistita".

Insomma una fiaba a volte piuttosto cruda e tagliente ma che tiene il filone complessivo della fiaba.
Lascia un profondo segno nei geek come il sottoscritto e un senso contrastante tra il voler andare avanti a leggere e pentirsene perché finisce troppo presto.

domenica 8 luglio 2012

The Trashmaster . Machinima di GTA IV

GTA IV.
Tutto parte da GTA IV.
Nico è un netturbino. Uno di quelli che raccoglie la spazzatura che ci lasciamo dietro senza pensare. Le cose seminuove, la plastica che le avvolge, il cibo avanzato. Nico raccoglie i nostri scarti, i nostri avanzi, quello che consideriamo rifiuti. Ma si occupa anche di altro, perché i rifiuti hanno molte forme e quelli in forma umana sono i peggiori. Nico si occupa di renderli inoffensivi e di farli sparire.
In modo particolare è un giustiziere. Suggerisce di avere rispetto dell'uomo della spazzatura perché la spazzatura potrebbe sommergerci. Un buono dai metodi violenti e quando in città farà la sua comparsa un serial killer, i sospetti cadranno proprio sul netturbino.

Dicevo che tutto inizia da GTAIV, il celeberrimo sandbox di Rockstar che nel 2009 ha folgorato il mercato introducendo un protagonista molto diverso dai precedenti ai quali il brand ci aveva abituato, calandolo in un contesto da "sogno americano" quando ormai ci si è già svegliati.
Ecco, quello che ha fatto Mathieu Weschler, grande fan di GTA e filmmaker francese al suo primo lungometraggio, è stato dedicare due anni della sua vita utilizzando esclusivamente GTA IV nelle vesti di giocatore e grazie ad uno spaventoso lavoro di montaggio supportato da una conoscenza di regia che nulla ha da invidiare ai nomi grandi grandi che da lassù ci guardano a produrre un thriller di impatto.
The Trashmaster è questo, un film a tutti gli effetti. In gergo e sulla wiki viene chiamato machinima ma mi sembra davvero riduttivo per quello che è il risultato.
Senza veri attori, non è un cartone animato, non è un fumetto animato. è GTAIV ritagliuzzato e sbattuto in circa 90 minuti di film. La scena della rapina in GTA IV (four leaf clover, per chi si ricorda) apre le danze, dove però Nico non è parte del gruppo dei rapinatori, ma quello che si occupa di...bhe, vedere per capire.
Insomma un thriller di alta fattura, infarinata noir per obbligo (praticamente non ci sono dialoghi ma solo lunghi monologhi) e personaggi che in certi punti sorprendono per quanto siano veri. Abbiamo ancora bisogno di attori di carne, ma chissà per quanto?
L'unica pecca è che mi sento di evidenziare sono le sequenze di inseguimento, un po troppe e un po' troppo numerose. Di fronte però al titanico lavoro di e genuflesso dinnanzi all'ancora più sorpendente risultato, non posso che sorvolare.

Davvero una bella scoperta per me, anche se il film è del 2010.
Se vi riesce dategli un occhio. Alla Rockstar ne sono andati pazzi e lo ospitano sul loro sito.
Qui il lungometraggio.

Enjoy

martedì 26 giugno 2012

The Shield e Rampart - assassini in divisa

Vengo da una maratona sfiancante.
In meno di due settimane ho (ri)guardato tutte e sette le stagioni di The Shield.
Considerando che circa otto ore della mia giornata le dedico al lavoro, ho sacrificato il sonno al capolavoro ideato da Shawn Ryan.
TheShieldTitle.JPG
The Shield parla delle gesta di Victor "Vic" Samuel Mackye e del suo Strike Team, task force anti gang nel quartiere fittizio di Farmington, L.A.
La serie è fighissima. Dialoghi maturi e situazioni adulte, oltre ad una scelta di regia e fotografia a dir poco geniale, in simil reale con handy cam. È tra le altre cose una delle poche serie tv che nonostante sia composta da 7 stagioni non ha cali di ritmo o parti pallose. Un'altra che al volo mi viene in mente è I Soprano, dove le serie erano 6 e il finale altrettanto geniale, sebbene con logiche e citazioni totalmente differenti.
Il fuoco mai sopito per la serie di Ryan che avevo già visto alcuno anni fa mi è tornata guardando un film del 2011 chiamato Rampart.
Il film analogamente a The Shield tratta di sbirri corrotti dalle mani pesanti. Mentre The Shield è decisamente più action, però, Rampart si concentra sulle fasi finali dello scandalo che a interessato la polizia di L.A. (quella vera intendo).
Un passo indietro. Rampart è un distretto di polizia che negli anni '90 fu investita da uno scandalo a causa delle maniere brutali e i sospetti omicidi dei membri di un teal anti gang (CRASH). Tra le varie cose di cui gli oltre 70 poliziotti implicati furono accusati: omicidio, metodi brutali, percosse, estorsioni, spaccio, riciclaggio di denaro. brava gente col distintivo insomma. La documentazione è sconfinata, sembra che addirittura la morte di Christopher George Latore Wallace (Notorious B.I.G.) fosse da attribuirsi a due poliziotti del caso Rampart, ma questo è solo gossip non confermato.

Comunque, Rampart doveva essere il titolo originale di The Shield, comprensibilmente abbandonato. E poi lo scudo spezzato è mille volte più immediato ad un pubblico internazionale.
Dicevo di Rampart, il film, che l'ho trovato introspettivo e un po lineare, monotono e comunque da vedere.
Da vedere perché mi ha scatenato interesse verso una fetta di storia americana che non conoscevo. Chissà perché ma immagino gli americani "immuni" alla corruzione...povero pirla. E da vedere perché è recitato e girato da dio. Dave Brown (lo sbirro protagonista dello scandalo e della punizione, interpretato da Woody Harrleson, visto in Zombieland, Defendor, Non è un paese per vecchi tra gli altri centomila...) è un personaggio stupendo. Alcolista, donnaiolo, violento e nonostante tutto molto originale nonostante la genetica noir che lo caratterizza. Non a caso Ellroy ha co-firmato la sceneggiatura.
Umano e solo in un sistema che cerca, giustamente, di liberarsene dopo averlo elevato a simbolo di qualcosa che non dovrebbe esistere dietro un distintivo.
Rampart mi ha lasciato frastornato, meditabondo. The Shield mi è servito per uscire dalla buca dove Rampart per scaraventarmi dentro a un'altra.
Da un grande potere derivano grandi possibilità, bisogna essere pronti a pagarne il prezzo però.

martedì 19 giugno 2012

The Walking Dead: Episode One - A New Day

Il periodo è piuttosto incasinato, ad essere sincero.
Un sacco di cose da fare, la maggior parte delle quali per dovere e non per piacere.
E poi ci sono le cose che faccio per piacere. Prevalentemente giocare, che mi serve anche a distrarmi.
A dire la verità non ho mai cercato un divertimento troppo avvolgente. Non sono il tipo da "spengo il cervello per un po" perché accumulo troppo stress. Ovvio, niente di male ad essere così. semplicemente io ho bisogno di far girare le rotelle su qualcosa che mi faccia sforzare e divertire, non a vuoto.

Tutto sto preambolo per parlare di The Walking Dead: Episode One - A New Day.
Chi non conosce l'opera di Kirkman probabilmente non ha mai acceso la tv (e sono davvero contento per lui in questo caso), non ha mai letto qualcosa riguardante gli zombie o semplicemente è stato indaffarato su altri fronti.

TWD è una serie a fumetti opera di Kirkman e Moore (Tony, non Alan...) che parla di zombie. E ne parla dal punto di vista dei sopravvissuti, approfondendo l'aspetto psicologico e relazionale. Il fumetto è qualcosa di spettacolare, è iniziato nel 2003 e sono arrivati a pubblicare quasi 100 numeri. Io ne ho letti una sessantina ripromettendomi di continuare, perché è un'opera ispirata, una di quelle che tiene una buona quota nonostante il corposo quantitativo di uscite.
Ma TWD è anche un brand, ne sono state tratte una bella serie tv. Oddio, qui si potrebbe discutere della bellezza della serie. Personalmente mi è piaciuta la prima di serie, la seconda è davvero pallosa e si dilunga in quello che nel fumetto dura pochi numeri.
Comunque riguardo al resto del merchandising, gadget,  magliette, web series, tazze, felpe, cappelli, trucchi eccetera eccetera. Gli zombie sono una vacca che non finisce mai il latte.
Amando il fumetto e seguendo la serie, mi sono imbattuto in quello che è il terzo pilastro dell'intrattenimento (qualcuno direbbe nono o decimo ma chissene...): il videogame.


TWW: Episode one - A new Day.
Vestiamo gli scomodi panni di Lee, un afroamericano che inizia la sua avventura trasportato in una macchina della polizia come prigioniero. Si stanno dirigendo verso la periferia della città. Lee ha fatto qualcosa di brutto ma da come parla non sembra essere una persona ignorante o cattiva. Deve essere capitato qualcosa. E mentre nel dialogo che avviene tra Lee e il poliziotto i primissimi pezzi del puzzle vengono scoperti, vediamo che verso la città accorrono numerose auto della polizia. Qualcosa sta succedendo e di li a breve Lee scoprirà di cosa si tratta.
Telltale game, software house indipendente attiva da quasi 10 anni confeziona un prodotto davvero interessante. Il gioco è un rpg punta e clicca, anche se in realtà si punta e clicca poco se non negli eventi quick time. L'azione è poca ma ben concentrata e ogni scontro con gli zombie da sempre l'idea di essere l'ultimo. Il gioco è prevalentemente un gioco di dialoghi molto lunghi intervallati da scelte improvvise. Non scelte giuste o scelte sbagliate, semplicemente scelte da compiere in brevissimo tempo. Il punto forte è proprio la narrazione però. TWDEO sembra di fatto un fumetto interattivo. Di Lee non si sa nulla, dei personaggi che lo accompagnano non si sa nulla e piano piano, nel corso del gioco, i dettagli e i retroscena vengono svelati esattamente come avviene nel fumetto.
Il gioco è poi caratterizzato da forti scelte a carattere morale; chi aiutare e chi lasciare indietro, la strada da intraprendere, come affrontare una situazione, tutto porterà a diversi finali...del primo episodio. Perché di fatto, alla fine di "A new Day", nulla è concluso e tutte le scelte fatte fino a quel momento si riverbereranno nei futuri episodi (5 in totale).
Un ultimo aspetto riguarda le colonne sonore, discrete ma molto coinvolgenti.
La lista degli episodi, presa paro paro dalla wiki è:

Episode 1: A New Day - April 24-27th, 2012
Episode 2: Starved for Help - June 2012
Episode 3: Long Road Ahead - TBA (presumably July 2012)
Episode 4: Around Every Corner - TBA (presumably August 2012)
Episode 5: No Time Left - TBA (presumably September 2012)

Mentre questo è il link del sito ufficiale dove acquistare il gioco in digital delivery.