Un gruppo di 12enni si ritrova in un bosco armati di bastoni, gavettoni e tanta fantasia.
Giocano a farsi la guerra. Usando l'immaginazione i bastoni diventano MG, bazooka, pistole. I gavettoni diventano granate.
Da una parte PK, abile generale che non ha mai perso una battaglia, dall'altra Jess, l'unico avversario in grado di tenergli testa. E poi c'è Skinner, per cui la vittoria rappresenta qualcosa di profondo ed inquietante. E sarebbe disposto a tutto pur di ottenerla.
Il gioco consiste in catturare la bandiera dalla base avversaria seguendo alcune semplici regole:
respawn entro 10 secondi, se si viene colpiti da una granata si torna a casa, la conquista della bandiera determina la vittoria.
Presto però lo spettatore capisce che per questi ragaazini il gioco è ben più importante del divertimento. E il confine tra il lecito e l'illecito è continuamente attraversato.
Film canadese del 2013, copertina che fa il verso a Platoon, questo I declare war è una bella metafora della guerra. Nessun eccessivo simbolismo che un po' mi avrebbe fatto girare le scatole (l'umanità è cattiva, oh dio com'è cattiva) ma una resa davvero interessante su quello che effettivamente è la più rappresentativa manifestazione della natura umana, cioè la guerra.
Parliamo di quello che fanno questi ragazzi.
Giocano.
Cos'è un gioco? Un insieme di regole atte al raggiungimento di un determinato scopo.
Che può essere divertirsi, ma non necessariamente.
L'obiettivo principale della maggior parte dei giochi è la vittoria. La competizione allo scopo di vincere.
Certo esistono giochi che si fanno esclusivamente per divertirsi. Mi vengono in mente i giochi di ruolo narrativisti (dedicherò un post alla teoria forgista un giorno o l'altro).
Però l'obiettivo principale degli altri giochi è la vittoria.
La guerra è il gioco totale. Regole in divenire il cui scopo è vincere. Anzi, lo scopo è così potente che spesso le regole si adattano allo scopo stesso.
Il divertimento è secondario ma non meno importante.
I ragazzi del film di fatto cercano l'affermazione, che di fatto è gratificazione.
Ma non solo.
La scelta interessante è stata scegliere come protagonisti un gruppo di 12enni. Se il paragone immediato è "Il signore delle mosche" siamo però un po lontani dalla resa.
12 anni è l'età limite, in termini occidentali, dell'infanzia. Si passa dall'essere bambini ad essere quella classificazione totalmente confusionaria e inapplicabile a società prive dell'opulenza del superfluo chiamata adolescenza.
Questi ragazzi sono vestiti in jeans e maglietta ma si vedono con mimetica e pitture di guerra. Imbracciano bastoni e gavettoni ma li vedono come fucili e granate.
usano l'immaginazione per equipaggiarsi da adulti. Vedono il sangue e le esplosioni. E superano spesso il confine tra il sangue immaginato e il dolore realmente inflitto.
Un film indubbiamente interessante, seppure con diversi limiti.
Per ricordarsi cos'era la preadolescenza.
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